Nello scorso articolo abbiamo introdotto l’ansia, un argomento ostico che riguarda un po’ tutti noi, sportivi e non. Senza perderci in chiacchiere futili, andremo subito a conoscere e fronteggiare la protagonista da noi tanto attesa e preannunciata: l’ansia competitiva.
L’ansia competitiva si caratterizza per essere vissuta specificatamente nelle condizioni sportive, tipicamente in gara o nelle situazioni con forte impatto emotivo e simbolico per l’atleta; scopriamo maggiormente la sua natura attraverso un esempio:
Ultima partita di campionato. Scontro diretto per il primo posto. Le tribune sono gremite e tra il pubblico ci sono tutti coloro a cui teniamo: amici, famiglia, chi ci ha visto lottare dall’inizio. Ci siamo allenate senza sosta, la squadra ci crede, l’energia è alta. Ma il coach tentenna, e lo percepiamo. Le avversarie? Tre vittorie di fila, sguardi determinati, approccio aggressivo. La pressione sale, il cuore accelera.
Secondo la letteratura l’ansia competitiva si fonda su tre fattori intervenienti:
- Fattori situazionali: << Ultima partita di campionato. Scontro diretto per il primo posto. Le tribune sono gremite >>. I fattori situazionali riguardano le percezioni della competizione in termini di importanza, livello di difficoltà e condizioni ambientali.
- Esiti della performance: << Le avversarie? Tre vittorie di fila, sguardi determinati, approccio aggressivo >>. Gli esiti della performance riguardano invece la percezione di successo/fallimento.
- Percezione della minaccia: << Ma il coach tentenna, e lo percepiamo >>. La percezione di minaccia fa riferimento a tutte quelle situazioni interne ad una performance sportiva che possono minacciare l’autostima di un’atleta e l’immagine di sé, come per esempio la paura del giudizio o la percezione di mancanza di fiducia da parte dei compagni o del coach.
Un altro aspetto importante da tenere in considerazione riguarda le componenti dell’ansia competitiva, tra le quali, senza scendere troppo nei tecnicismi, è possibile individuarne principalmente due:
- Ansia somatica, che si riferisce ai sintomi fisici come le palpitazioni, la sudorazione, i tremori e la tensione muscolare
- Ansia cognitiva, che riguarda i pensieri e le preoccupazioni che accompagnano l’ansia.
Queste due componenti interagiscono tra di loro nei momenti precedenti alla gara e durante essa sfavorendo o favorendo la performance; per esempio, l’ansia cognitiva, che dovrebbe mantenersi stabile durante tutta la performance, potrebbe tendere ad alzarsi ulteriormente durante la competizione causando come risultato un crollo della prestazione.
È possibile ora tracciare un filo conduttore tra i principali elementi affrontati: i fattori che influenzano l’ansia competitiva, le sue componenti e la distinzione tra ansia di stato e ansia di tratto.
Secondo la psicologia dello sport, questi concetti non vivono separati, ma si intrecciano fino a delineare un’idea chiave: la zona di funzionamento ottimale. Di cosa si tratta? Immagina un intervallo personale, una “zona” dentro la quale il livello di ansia non solo è gestibile, ma può addirittura diventare funzionale alla prestazione. È in questa fascia, unica per ciascun atleta, che la tensione si trasforma in concentrazione, l’adrenalina diventa spinta, e le condizioni psicofisiche si avvicinano a quelle della peak performance.
Sebbene il supporto di un professionista sia essenziale per lavorare in modo strutturato e profondo, esistono tecniche che possono offrire un primo punto di partenza. Tra queste vi è sicuramente la visualizzazione – già affrontata nei precedenti articoli – che può rivelarsi particolarmente utile non solo per esplorare e riconoscere i segnali dell’ansia, ma anche per sviluppare quel senso di competenza e auto-efficacia che permette di contenere e trasformare l’ansia cognitiva, evitando che prenda il sopravvento.
Il concetto di zona ottimale, in realtà, non si applica solo all’ansia: può essere esteso a tutti gli stati emotivi. In questa prospettiva, emozioni come la rabbia o la felicità non vengono più etichettate semplicemente come “positive” o “negative”, ma considerate strumenti al servizio della prestazione.